Denatalità: non serve sospendere la legge 194, serve la politica

di Titti Di Salvo

[Pubblicato il 27 maggio 2021 su Huffington Post]

(Foto da Internet)

La proposta di sospendere per 5 anni la legge 194, la possibilità cioè di abortire, avanzata su Avvenire dalla presidente della Fondazione Bellisario, Lella Golfo, è profondamente sbagliata: non incrocia nessuno degli ostacoli che si frappongono tra il desiderio di maternità e paternità e la rinuncia a quel desiderio. Ed è un attacco alla libertà più importante delle donne: quella di scegliere se essere madri.

Lella Golfo la definisce una provocazione laica. Ma la proposta avviene in un contesto di vera e propria aggressione nei confronti della legge 194 e quindi della libera autodeterminazione delle donne.

Qualche giorno fa Tajani, leader di Forza Italia, ha detto che non ci sono “famiglie senza figli”. In alcune regioni – dal Piemonte, alla Sardegna, alle Marche- la legge è messa in discussione direttamente. In altre attraverso l’obiezione di coscienza dei ginecologi, che arriva a superare l’80 per cento di quelli disponibili.

Il punto è che la maternità e la paternità non possono essere né una rinuncia, né un destino. Neppure la condizione per il riconoscimento sociale delle giovani donne. Neppure la distinzione tra successo e fallimento, egoismo e altruismo.

La maternità deve essere una scelta. E anche un interesse collettivo.

Ma il racconto pubblico, anche in occasione dei recenti Stati Generali sulla natalità, si continua a muovere, se va bene, intorno al disvelamento della fatica delle madri. Ma non ne trae per nulla le conseguenze.

Che non sono quelle di aiutare le donne a conciliare meglio lavoro e figli, nella versione più progressista, o di aiutare le madri a casa loro, nella versione Pillon o Fratelli d’Italia. O semplicemente nel dare valore sociale alla maternità. Peraltro obiettivo quest’ultimo tutt’altro che scontato nel paese in cui la pallavolista Laura Lugli viene portata in giudizio dalla società sportiva per la sua maternità.

Se è così, smentita con i dati l’equazione donne lavoratrici uguale meno figli – perché è esattamente il contrario – per affrontare in modo efficace e contemporaneo il crollo delle nascite e rendere libera la scelta di maternità e paternità 2 cose servono: politiche strutturali di sistema per sostenere l’occupazione  femminile e giovanile e una cura choc per sconfiggere gli stereotipi di genere, quelli che assegnano alle donne la riproduzione sociale e la cura, e agli uomini il lavoro fuori casa. Per esempio un congedo obbligatorio di paternità di, almeno, 3 mesi.

Insomma serve sostenere in tutti i modi, simbolici e concreti, la condivisione della cura, non solo dei figli, tra donne e uomini. Come scelta, come visione, come fondamento di una società più sostenibile. Quella che il Covid ci ha indicato come necessaria.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *