Elogio della concertazione Un patto per più donne al lavoro

di Titti Di Salvo, pubblicato su Il Dubbio il 5 marzo 2021

(Foto da Internet)

Tutti ne convengono: la pandemia ha dimostrato la vulnerabilità del nostro sistema economico e sociale e quindi la necessità di cambiarlo per renderlo sostenibile. Le risorse del Recovery fund possono aiutare la realizzazione delle riforme necessarie. Quelle suggerite dai limiti che hanno impedito la crescita del paese prima del Covid: dalla scarsità di investimenti nell’istruzione, nella ricerca, nelle infrastrutture sociali e in quelle materiali e immateriali; al modello di specializzazione concentrato sui settori più esposti alla concorrenza internazionale; al Welfare novecentesco; al divario tra Nord e Sud; alla dimensione delle imprese fino allo stato della Pubblica amministrazione. Soprattutto ha pesato sulla modernizzazione del paese la rinuncia ad investire sull’aumento dell’occupazione femminile. Che, come tutti gli indicatori confermano, ha un impatto più che proporzionale sul PIL perché’ determina occupazione di altre donne nei servizi, aumento dei consumi e aumento della natalità.

La realtà di questi mesi, ancora prima della fine del blocco dei licenziamenti, va in senso contrario. La perdita di occupazione femminile, già molto al di sotto della media europea prima del Covid, subisce oggi contraccolpi ulteriori per la doppia tenaglia della precarietà dei settori produttivi in cui è concentrata e dell’aumento della difficoltà di conciliazione di lavoro e cura dei figli di cui danno conto le dimissioni registrate dall’Ispettorato del lavoro. In tempo di distanziamento sociale, scuole e servizi semichiusi.

Nel discorso in Parlamento Mario Draghi ha preso un impegno importante: puntare “a un sistema di welfare che permetta alle donne di superare la scelta tra famiglia e lavoro”.

Però per realizzare l’obiettivo non basta un nuovo sistema di welfare, pure necessario. Non bastano quindi nuove politiche sociali finanziate dalla fiscalità generale e qualificate infrastrutture sociali, a partire dagli asili nido. Perché molti sono gli ostacoli all’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e alla loro permanenza quando diventano madri: dagli stereotipi di genere nella divisione del lavoro di cura, alla rigidità degli orari delle città e delle imprese, alle resistenze delle imprese all’assunzione di giovani donne perché possibili madri, all’assenza appunto di infrastrutture sociali.

Quindi per centrare l’obiettivo che lo stesso presidente del Consiglio ha nominato in Parlamento, bisogna in primo luogo indicarlo esplicitamente al paese come interesse pubblico, cioè come scelta che più di altre ha ricadute positive per tutta la collettività. Poi, e di conseguenza, servono comportamenti coerenti delle imprese nelle assunzioni e nella organizzazione della produzione, delle organizzazioni sindacali nelle piattaforme dei rinnovi contrattuali, delle amministrazioni pubbliche negli orari delle città e nell’organizzazione sociale e dei servizi, dell’informazione nel veicolare messaggi coerenti, della scuola e di tutto il sistema di istruzione e formazione per incentivare le ragazze a scegliere percorsi STEM.

Solo il governo può promuovere l’aumento dell’occupazione delle donne come grande obiettivo nazionale di sistema a cui richiamare l’insieme del paese.

Solo il governo può convocare tutti gli attori sociali e istituzionali insieme ai diversi ministeri intorno a proposte concrete per la definizione di un Patto per l’aumento dell’occupazione femminile.

Non servono piani per il lavoro femminile, serve un patto con il paese per il suo aumento, serve un impegno di tutti gli attori sociali – ognuno per la propria parte – coerente con gli obiettivi concordati, un cronoprogramma e via via la valutazione d’impatto delle misure. Serve una responsabilità collettiva.

Serve cioè la concertazione.

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