Natalità in caduta libera: la solitudine delle madri nell’Italia del Covid e della precarietà

di Titti di Salvo

(Photo by Chris McGrath/Getty Images)

L’Istat ha previsto che nel corso del 2021 le nascite saranno inferiori alla soglia psicologica delle 400mila unità. La pandemia c’entra in parte, ma non spiega. Innanzitutto quelle cifre parlano di rinuncia. Nascono molti meno bambini di quanto le persone a In mezzo, tra il loro desiderio e la rinuncia c’è stata in questi anni, prima del Covid, la durezza della realtà fatta di precarietà del lavoro, di scarsità e costo dei pochi servizi all’infanzia, di peso non condiviso delle responsabilità genitoriali e dei lavori di cura, di rigidità dei modelli organizzativi delle imprese, di basso livello dell’occupazione femminile.

Insomma pezzi di un puzzle che hanno però un centro: la solitudine delle madri. La solitudine delle madri e’ il loro vissuto: la quotidianità di donne, giovani e meno giovani di corsa tra lavoro, cura dei figli e dei genitori, senza riconoscimento sociale nel presente e previdenziale per il futuro. Prima della pandemia e più ancora durante la pandemia nella quale l’occupazione femminile, concentrata nei settori produttivi più esposti alla crisi, ha subito i contraccolpi maggiori. Ha alimentato la loro solitudine in questi anni il racconto inadeguato e rumoroso di chi, nella cultura politica di destra, vorrebbe ricacciarle in un ruolo antico e di chi ha temuto, a sinistra, che valorizzare e riconoscere la maternità in quanto tale corrispondesse a un cedimento ideologico. Con l’esito dell’assenza di politiche pubbliche adeguate e contemporanee. Adeguate a che? A sconfiggere gli stereotipi di genere senza sacrificare il desiderio di maternità e paternità. Insomma a tutela della libera scelta di maternità, ne’destino ne’rinuncia. La maternità non può essere, ma lo è ancora nei deliri del senatore Pillon, la scelta obbligata per le giovani donne per ottenere riconoscimento sociale. La realtà è che per loro oggi, per quelle ragazze, la maternità e’ in alternativa al lavoro. Lo dice l’esperienza concreta delle dimissioni in bianco che continua tra mille sotterfugi. Lo dicono i dati, preCovid, dell’Ispettorato sulla perdita del lavoro per le donne dopo il primo figlio. Indici entrambi di come la maternità sia vissuta dalle imprese come rischio e come costo. Indici anche della assoluta inesistenza di una rete adeguata sociale di sostegno alla maternità e alla paternità. E dell’assenza di condivisione con i padri delle responsabilità genitoriali. Di nuovo emerge la solitudine delle madri. La legge appena approvata che definisce l’erogazione alle famiglie di un assegno universale per i figli e’una novità molto importante.

In primo luogo perché la cura dei bambini non è un fatto privato e va sostenuto con risorse pubbliche.

In secondo luogo perché l’assegno sarà universale, quindi non legato alla tipologia del rapporto di lavoro dei genitori. Si supera così il paradosso attuale che esclude dagli scarsi benefici i lavoratori non dipendenti o le famiglie più fragili e quindi incapienti fiscalmente.

La scelta dell’assegno unico universale, che dovrà essere finanziata con più risorse, colma un vuoto e semina il cambiamento in senso universale del welfare. Ma non è sufficiente. Immaginare che sia la soluzione al nostro inverno demografico rivela la sottovalutazione del centro del problema. Che e’ e rimane il rapporto tra lavoro e maternità, imprese e lavoratrici, welfare e sistema paese. Come si affronta? Con investimenti importanti nelle infrastrutture sociali. Con la condivisione paritaria della genitorialita : congedo obbligatorio di paternità di almeno 3 mesi e congedi parentali retribuiti adeguatamente. Con il contrasto a scuola degli stereotipi di genere. Con il sostegno alle imprese sul piano dei costi: sia a carico della fiscalità generale il costo del 100 per cento della indennità obbligatoria di maternità. Sia a carico dell’INPS per le piccole imprese anche l’anticipo del pagamento della indennita di maternità E promuovendo, lo faccia il governo, un patto per aumentare l’occupazione femminile e giovanile, cioè per il futuro del paese. Imprese, istituzioni, sindacati, sistema dell’istruzione e della formazione, ciascuno sia chiamato a fare la propria parte. Di futuro peraltro si dovrebbe occupare il Nex Generation Eu.

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