Intervista a Titti Di Salvo

[Intervista pubblicata il 16 giugno 2021 su Condivisione Democratica]

(Foto da Internet)

Titti Di Salvo è una politica e sindacalista italiana. Laureata in scienze politiche, nel 1985 viene eletta alla segreteria regionale della FISAC-Cgil del Piemonte. È stata cofondatrice a Torino nel 1987 di “Sindacato Donna”, associazione di donne dentro e fuori il sindacato nata per rappresentare il nesso tra lavoro produttivo e riproduttivo delle donne. Dal 1990 lavora alla segreteria confederale, nel 1999 diventa la prima donna in Italia Segretaria generale regionale della Cgil del Piemonte e nel 2002 è eletta alla segreteria nazionale della Cgil, con la delega alle politiche europee ed internazionali. È tra le firmatarie dell’appello del 13 febbraio 2011 “Se non ora Quando?” e componente del Comitato Promotore nazionale SNOQ.

Nel 2006 viene eletta alla Camera dei deputati nella lista dell’Ulivo diventando in seguito componente della Commissione Lavoro pubblico e privato. Nel maggio 2007, alla vigilia della nascita del Partito Democratico, aderisce a Sinistra Democratica; il 16 maggio viene eletta Presidente dei deputati SD.

Ha fatto parte del Coordinamento nazionale di Sinistra democratica e del Comitato Scientifico di Sinistra Ecologia Libertà, di cui era anche Responsabile Lavoro. È relatrice alla Camera della legge 188/2007 contro le “dimissioni in bianco” poi abrogata dal governo Berlusconi nel 2008. Dal febbraio 2009 è Presidente del “Consiglio di Indirizzo e vigilanza” dell’ENPALS. Nell’autunno 2011 promuove il Comitato “188 per la legge 188” per la riconquista della legge contro le “dimissioni in bianco”, che, finalmente, nel 2015 riuscirà a ripristinare. Alle Elezioni politiche italiane del 2013 è candidata ed eletta alla Camera dei deputati come capolista di Sinistra Ecologia Libertà. Il 19 marzo 2013 viene eletta vicecapogruppo vicario del gruppo parlamentare di Sinistra Ecologia Libertà alla Camera dei deputati con delega d’aula, mentre da novembre dello stesso anno è vicepresidente della Commissione parlamentare Bicamerale di controllo sugli enti previdenziali. Dal 7 luglio 2014 al 17 novembre 2014 è capogruppo della componente del Gruppo Misto dal nome LED – Libertà e Diritti Socialisti Europei e vicecapogruppo del Gruppo Misto. 

È stata membro dell’Ufficio di Presidenza del Gruppo del Partito Democratico in qualità di vicepresidente del Gruppo PD alla Camera. Dal giugno del 2018 è Presidente dell’associazione LED, Liberta e diritti. In quanto tale ha lanciato nel settembre 2018 la petizione popolare per il congedo obbligatorio di paternità, raccogliendo migliaia di firme consegnate al Presidente della Camera e alla Presidente del Senato. La petizione è stata iscritta ai lavori della Commissione lavoro della Camera. 

Da novembre del 2019 è membro della segreteria del Pd di Roma. 

Il 20 giugno del 2021 concorrerà alle primarie per la carica di Presidente del IX Municipio della Capitale, in occasione delle prossime elezioni amministrative.

Onorevole Di Salvo, nel ringraziarLa per essere tornata ad incontrare la redazione di Condivisione Democratica, vorremmo affrontare con Lei il tema della denatalità, su cui qualcosa nelle ultime settimane ha iniziato a muoversi, e su cui speriamo si possano aprire ulteriori spazi di discussione. Una delle innovazioni approvate di recente è ormai nota: dal prossimo 1 luglio verrà introdotto l’assegno unico per i figli, una misura che si attendeva da anni e che potrebbe contribuire ad incentivare le giovani coppie ad allargare il proprio nucleo familiare. Lei che idea si è fatta, è una misura necessaria? Ed è sufficiente ad invertire l’attuale tendenza?

E’ una novità concreta, molto importante. In primo luogo perché la cura dei bambini e la loro crescita non è un fatto privato. In secondo luogo perché l’assegno sarà universale, quindi non legato alla tipologia del rapporto di lavoro dei genitori. Si supera così il paradosso attuale che esclude dagli scarsi benefici i lavoratori non dipendenti o le famiglie più povere e quindi incapienti fiscalmente. La scelta dell’assegno unico universale colma un vuoto e semina il cambiamento del nostro welfare che è necessario cambiare perché è necessario liberarsi dei suoi limiti: di impostazione culturale, di risorse dedicate, di distribuzione delle risorse. Esito della somma di stereotipi culturali per i quali sono state le donne il vero welfare del paese e della evoluzione lenta della struttura produttiva e sociale. Limiti conseguenti allo stesso sistema di finanziamento del welfare, prevalentemente a carico del lavoro dipendente e delle imprese, con il risultato di una rete di protezione sociale non universale, ancorata al mercato del lavoro del 900, quindi costruita sul lavoratore maschio a tempo indeterminato della grande impresa e per questo incapace di includere per paradosso le persone e le famiglie più fragili, le diverse tipologie di lavoro, i giovani. Quindi l’assegno unico unisce alla concretezza delle risorse la forza di una nuova impostazione in senso universale della intera rete di protezione sociale. Per contrastare la denatalità bisogna però accompagnare questa misura con l’aumento della occupazione femminile e con tutte le scelte necessarie per realizzarlo: condivisione della cura e quindi incentivi al congedo di paternità, flessibilità degli orari nella organizzazione del lavoro delle imprese e delle città, infrastrutture sociali a partire dagli asili nido.

Quello delle basse nascite, che sono al di sotto del livello di sostituzione che garantirebbe di rimpiazzare naturalmente la popolazione, è un problema che riguarda a vari gradi un po’ tutta la società occidentale capitalistica. Secondo Lei, c’è una difficoltà insita in questo sistema a garantire nel lungo periodo un giusto equilibrio nelle nascite? Oppure è una questione che attraverso accorte misure di welfare è possibile sanare anche nella nostra società? E se sì, che tipo di misure reputa necessarie?

Se è vero che la denatalità riguarda tutti i paesi occidentali e che anche le persone che arrivano da altre culture e continenti quando arrivano in occidente riducono il numero dei figli, è altrettanto vero che ci sono paesi, ad esempio la Francia, che hanno invertito la tendenza con politiche mirate. Bisogna aver presente la realtà: le giovani coppie nel nostro paese fanno meno figli di quelli che desiderebbero. In mezzo, tra il loro desiderio e la realtà della rinuncia, ci sono ostacoli concreti. Premesso che la maternità non è un destino e neppure la condizione per il riconoscimento sociale, la realtà ci dice che la maternità è un ostacolo per trovare un lavoro e per tenerselo. Basta pensare ai numeri dell’Ispettorato del lavoro sulle dimissioni delle lavoratrici madri dopo il primo figlio. Quindi una politica di sistema contro la denatalità deve affrontare questo nodo, insieme a quello della precarietà del lavoro dei giovani. 

Legandoci alla domanda precedente, le chiediamo a questo punto se, oltre al tema occidente, non vi sia invece un problema culturale che caratterizza proprio il nostro paese. Il riferimento è a due livelli: da un lato, questa difficoltà ad accelerare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, con l’aumento della precarietà che è un evidente ostacolo alla costituzione di nuclei familiari; dall’altro, l’obsoleta ma radicata concezione del ruolo dell’uomo come “breadwinner” – il capofamiglia che lavora e sostiene moglie e figli. È ottimista riguardo ad un prossimo cambio culturale nel nostro paese?

Gli stereotipi di genere, secondo i quali alla donne spetta la riproduzione sociale e agli uomini il lavoro produttivo, sono la fonte di tutte le discriminazioni. La misura più efficace per superare gli stereotipi è il congedo obbligatorio di paternità. Ma sostanzioso, non simbolico. Di almeno 3 mesi. In questo senso non sono ottimista ma determinata. Perché non ci sarà crescita del paese senza l’aumento dell’occupazione femminile a cui corrisponderebbe anche l’aumento della natalità. 

A causa della pandemia, e dell’incertezza sanitaria, economica e sociale che ne è conseguita, il settore delle nascite – già caratterizzato da un trend negativo che perdura da più di un decennio – ha fatto registrare nel 2020 un ulteriore picco negativo, e si prevede che gli effetti di questa convergenza possano intensificarsi nel 2021. Per affrontare seriamente il tema della denatalità siamo ad un punto di non ritorno?

La cosa più importante da affermare oggi  come dicevo  è la consapevolezza che la denatalità si batte con l’aumento dell’occupazione femminile. Non aiutando le madri  “a casa loro” come pure è nei pensieri e nelle proposte di un senatore leghista come Pillon e non solo. La perdita di occupazione femminile, già molto al di sotto della media europea prima del covid, subisce oggi contraccolpi ulteriori per la doppia tenaglia della precarietà dei settori produttivi in cui è concentrata e dell’aumento di difficoltà nel conciliare lavoro e cura tra scuole chiuse, DAD e distanziamento sociale.  E però per realizzare l’obiettivo non basta un nuovo sistema di welfare, pure necessario. Non bastano quindi nuove politiche sociali finanziate dalla fiscalità generale e qualificate infrastrutture sociali, a partire dagli asili nido. Perché molti sono gli ostacoli all’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e alla loro permanenza quando diventano madri: dagli stereotipi di genere nella divisione del lavoro di cura di cui si diceva, alla rigidità degli orari delle città e delle imprese, alle resistenze delle imprese all’assunzione di giovani donne perché possibili madri, all’assenza appunto di infrastrutture sociali. Quindi per centrare l’obiettivo bisogna in primo luogo indicarlo esplicitamente al paese come interesse pubblico, cioè come scelta che più di altre ha ricadute positive per tutta la collettività. Poi, e di conseguenza, servono comportamenti coerenti delle imprese nelle assunzioni e nella organizzazione della produzione, delle organizzazioni sindacali nelle piattaforme dei rinnovi contrattuali, delle amministrazioni pubbliche negli orari delle città e nell’organizzazione sociale e dei servizi, dell’informazione nel veicolare messaggi coerenti, della scuola e di tutto il sistema di istruzione e formazione per incentivare le ragazze a scegliere percorsi scientifici. Solo il governo può promuovere l’aumento dell’occupazione delle donne come grande obiettivo nazionale di sistema a cui richiamare l’insieme del paese. Solo il governo può convocare tutti gli attori sociali e istituzionali insieme ai diversi ministeri intorno a proposte concrete per la definizione di un patto per l’aumento dell’occupazione femminile. Attraverso un impegno di tutti gli attori sociali -ognuno per la propria parte- coerente con gli obiettivi concordati, un cronoprogramma e via via la valutazione d’impatto delle misure. Serve dunque una responsabilità collettiva.

Ma le politiche di sostegno alle famiglie non sono solo appannaggio del governo. Lei è candidata alle Primarie per la carica di Presidente del IX Municipio di Roma. Cosa si può mettere in campo per le mamme ed i papà di questo territorio?

La prima cosa da fare è sconfiggere la solitudine dei neo genitori. Innanzitutto quando andranno a dichiarare la nascita del loro bambino all’anagrafe dovranno ricevere un opuscolo con tutte le informazioni sulle risorse, sui diritti e servizi che competono loro. È una norma di legge (lettera h art.1 legge 124/2015) che ero riuscita ad ottenere nella scorsa legislatura. A Roma non è mai stata applicata. Sarebbe una piccola rivoluzione a costo zero. L’obiettivo della pubblica amministrazione deve essere quello di rendere le persone più autonome e libere nell’esercizio dei loro diritti.  Così oggi non è.  Abbiamo infatti la certezza che molte neo mamme non utilizzano le risorse messe a disposizione (bonus mamma per esempio) per mancata informazione. Poi c’è un problema di “ruolo del Municipio” nelle infrastrutture sociali, e nella loro qualità, per accompagnare le famiglie e i bambini. Torniamo al concetto di “cura della comunità” che deve essere insito nel ruolo del Municipio. 

Il Municipio IX è vasto, ha quartieri diversissimi per condizioni sociali, storiche, culturali ed ambientali. È un municipio di eccessi: zone ricche e zone povere, centri urbani congestionati e verde da proteggere. Cosa fare per tenerlo unito? 

Il municipio IX è una città nella città, con un territorio esteso come quello di Milano e realtà produttive e sociali molto diverse: dall’ EUR a Santa Palomba, dal Torrino a Spinaceto, da Trigoria alla Cecchignola, dall’eccellenza della farmaceutica di Castel Romano all’Agro Pontino, con un reddito medio un po’ più alto di quello romano, ma con la presenza di grandissime fragilità sociali.  La diversità di questo nostro territorio è la causa della sua complessità, ma può anche essere il motore delle sue opportunità, se sarà amministrato con visione e con la capacità di mettere insieme, di fare sistema. Come? Con un “patto per lo sviluppo del municipio” tra associazioni, imprese, amministrazioni, sindacati per il suo rilancio e per l’innovazione. Che può trainare tutta la città dopo anni di cattiva amministrazione.  Certo, abbiamo bisogno che i municipi abbiano più poteri e più risorse. La riforma istituzionale di Roma Capitale è una parte importante della proposta programmatica di Roberto Gualtieri. Ma già oggi il PNRR e l’avvicinarsi del Giubileo costituiscono una grande opportunità. Per coglierla bisogna soprattutto avere una idea della Roma contemporanea e futura. Le grandi città europee si stanno muovendo verso una struttura urbana di città “policentrica e sostenibile”. Non più centri congestionati e periferie dormitori, ma tanti luoghi da vivere, con servizi e corridoi verdi.  La “città dei 15 minuti” è l’obiettivo.  Quella in cui ogni persona in quel tempo può raggiungere a piedi o in bicicletta ciò che serve.  La rivoluzione digitale, anche quella del lavoro, lo renderà possibile. E penso a quanta distanza c’è tra questo obiettivo e aree del Municipio IX in cui mancano ancora infrastrutture primarie. E quindi alla tanta strada che abbiamo da fare.  

Il sindacato è scuola di politica, è partecipazione, è confronto, è fare squadra.  Si possono portare queste esperienze e modalità di lavoro all’interno della amministrazione di un Municipio? 

L’esperienza del sindacato aiuta la comprensione della realtà della vita e del lavoro delle persone, quella parlamentare aggiunge una visione di insieme del Paese.  Ecco perché Cura, Confronto, Competenza sono le 3 C che riassumono la mia proposta di metodo e di sostanza per il futuro del nostro Municipio.

Cura, perché prendersi cura è la qualità della buona amministrazione. Quella che il covid ha dimostrato sia oltremodo necessaria in un mondo che pensava di essere invulnerabile e si è rivelato, invece, tanto fragile. 

Confronto, necessario per la soluzione dei problemi di una comunità.  Le soluzioni efficaci non sono mai preconfezionate. Nascono dal confronto, dal coinvolgimento di reti, comitati di quartiere e associazioni. Spetta a chi amministra metterle insieme per arrivare alle soluzioni migliori, perché la partecipazione è un metodo di governo. 

Competenza come saper fare, che nasce dalla conoscenza. Competenza come rigore, che nasce dall’etica del pubblico servizio. Competenzacome intelligenza collettiva, espressa da un team di governo e da una Presidente di Municipio capace sia di fare squadra che di rappresentare il proprio territorio e metterlo in relazione con il resto della città e del Paese.

Lo slogan coniato dalla comunità politica che l’ha scelta: “Tutti x Titti” ricorda una commedia americana degli anni ‘90: “Tutti pazzi per Mary”, allora “Tutti pazzi per Titti”? 

“Tutti x Titti” è davvero simpatico e mi dà una carica di simpatia che è molto importante per affrontare le primarie del 20 giugno, io semmai aggiungerei anche “Tutti x Roberto”. 

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