Roma come Parigi?

di Titti Di Salvo

(Foto da Internet)

“Solo Parigi è degna di Roma e solo Roma è degna di Parigi”.

Questa la frase con cui venne suggellato il gemellaggio tra Roma e Parigi nel 1956. Da allora il legame tra le due capitali è stato tradotto in alcuni vantaggi reciproci per i cittadini di Roma a Parigi e viceversa, come l’ingresso gratuito nei musei. Fantastici giochi di luci hanno celebrato i 60 anni del gemellaggio e in molti si sono esercitati a decantare le affinità elettive delle due città. A volte anche a sproposito. “Roma come Parigi” titolavano molti quotidiani all’inaugurazione nel 2017 di Tiberis, la spiaggia di Ponte Marconi confrontata a quella sulla Senna. Si è visto come è andata.

Per tutto questo è molto appropriato il confronto tra la realtà e le ambizioni delle due capitali evocato dal segretario del partito democratico Enrico Letta nella recente intervista al Messaggero. Da cittadino di Roma vissuto a lungo a Parigi e da segretario del Pd, il partito di Roberto Gualtieri che si candida a sindaco di Roma.

Anne Hidalgo, sindaca dal 2014, ha scelto di trasformare Parigi in una città verde dei 15 minuti, dove le persone, a piedi o in bici, possono raggiungere ciò che serve in un quarto d’ora. La città dei 15 minuti è un’idea di sviluppo urbano contemporanea, opposta alla progettazione urbana di città divise rigidamente  in quartieri in cui si dorme, in quartieri in cui si consuma, in quartieri  in cui si lavora. Sono state le diverse forme del lavoro e della produzione che hanno determinato la fisionomia delle città. La città dei 15 minuti è una visione, un idea moderna di città green e sostenibile, consentita dalla rivoluzione digitale applicata ai processi produttivi e al lavoro. Una visione spinta dalla nuova consapevolezza dei limiti del modello produttivo pre-Covid. Parigi ospiterà i Giochi Olimpici del 2024.

Anche Milano si sta muovendo nella stessa direzione con gli stessi obiettivi, con la stessa visione. Con il progetto “Milano 2020” l’amministrazione ha chiesto la partecipazione pubblica alla definizione di un nuovo modo di abitare la città, la città dei 15 minuti a piedi, appunto. D’altra parte da tempo Milano sta sperimentando i nearworking, coworking di prossimità, luoghi attrezzati con il meglio della tecnologia per lavorare da remoto senza rinunciare alla socialità e senza dipendere dai limiti delle proprie abitazioni.

E veniamo a Roma. Roma è stata mortificata in questi anni, umiliata nelle sue aspirazioni e nelle sue potenzialità. Lo stato del suo degrado è nella esperienza dei suoi cittadini, nelle condizioni delle strade, del ciclo dei rifiuti, nel basso livello e alto costo dei suoi servizi. L’amministrazione di Virginia Raggi ne ha grande responsabilità. Per le scelte amministrative compiute, per quelle mancate, per la rinuncia all’ambizione di ridare a Roma prestigio internazionale, non solo alle Olimpiadi, per la cultura politica che ha ispirato l’amministrazione. 

Il declino di Roma non nasce in questi ultimi anni. Ma il declino di Roma non è un destino. Roma può essere governata e lo è stata. In alcune stagioni ha anche rappresentato un modello di innovazione sociale e politica. Per battere il declino non basterà la riforma istituzionale che pure è assolutamente necessaria per dare ai municipi poteri e risorse. Ciò che serve è una nuova idea di Roma e una nuova classe dirigente di donne e uomini capace di interpretarla. Aiutata dall’innovazione e dalla consapevolezza della necessità di una nuova normalità. Non di tornare alla Roma di prima del Covid.

La Roma prima del Covid era una città con tante facce e senza fisionomia unitaria: con un vasto sistema produttivo di piccole imprese a basso valore aggiunto a cui corrispondeva un lavoro povero. Con forti diseguaglianze e differenze  di reddito tra centro e periferie, luoghi di concentrazione della povertà giovanile e infantile. Alcune di queste periferie lontane rappresentano delle vere e proprie “enclaves della diseguaglianza” dice Mapparoma che ha tradotto Roma in tante mappe: “quartieri con bassi livelli di istruzione e occupazione e forti problemi sociali, di salute e di criminalità, spesso legati alla presenza massiccia di alloggi pubblici fatiscenti”. E contemporaneamente però Roma era ed è il secondo polo nazionale di start up e la sede di 40 tra università e enti di ricerca. Con eccellenze produttive, vivacità del Terzo settore, sperimentazioni sociali e di rigenerazione urbana. La Capitale delle bellezza, della storia e della cultura nell’immaginario del mondo.

Gli effetti economici del Covid hanno sommato e amplificato i problemi sociali ed economici precedenti e si sono abbattuti su uno dei suoi asset principali, le industrie culturali e il turismo che costitutiva  il 22 per cento del Pil della città. La necessità del lavoro da remoto di questi mesi ha coinvolto almeno 450000 dei 1800000 lavoratori dell’area metropolitana di Roma. Con un impatto positivo per molti, negativo per le attività produttive del centro. Ma a Roma secondo Unindustria il 40 per cento delle attività lavorative può essere svolto da remoto. Perché non tutto il lavoro è remotizzabile ma a Roma si concentrano molte delle attività che si possono svolgere da remoto. Il cambiamento del lavoro può dunque essere una leva determinante per la sua rigenerazione urbana. Verso una città policentrica e più equilibrata. Come Parigi, come Milano.

Ma i cambiamenti vanno orientati e accompagnati. Questa la sfida che aspetta il centro sinistra. Che Roberto Gualtieri ha la serietà e la competenza per affrontare. Questa è la sfida che Virginia Raggi ha già perso.

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