No è no. Lavorare senza molestie

di Titti Di Salvo

(Photo by Sarah Morris/Getty Images)

Nel giugno del 2019 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha approvato la Convenzione contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Spetta ora ai Parlamenti dei singoli paesi passare alla sua ratifica e agli adeguamenti conseguenti, delle norme e delle politiche. L’Italia è a metà del guado. La Camera ha già ratificato la Convenzione a settembre del 2020. Il Senato dovrà farlo. Ma tutto ciò sta avvenendo in assenza di discussione pubblica. D’altra parte quello delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro è un argomento su cui i riflettori si accendono con difficoltà. Anche nella giornata del 25 novembre, dedicata per consuetudine alla discussione pubblica sulla violenza maschile contro le donne, il tema latita. Soprattutto in momenti di crisi economica e di caduta dell’occupazione femminile. Come oggi. C’è stato un momento però, nel 2017, in cui i riflettori si sono accesi in tanti paesi grazie al movimento #MeToo che ha denunciato la consuetudine dei ricatti sessuali nel mondo del cinema e dello spettacolo. E, in virtù della fama della attrici e delle artiste che hanno denunciato e della fama di chi è stato denunciato, ha squarciato secoli di patinate ipocrisie. Ed è grazie a quel movimento che nel 2017 nell’ordinamento italiano sono state introdotte novità importanti. Subito dopo, con la fine della legislatura, i riflettori però si sono spenti.

Eppure le molestie e i ricatti sessuali nei luoghi di lavoro continuano a violare la libertà e la dignità delle persone nel modo più odioso, perché l’oggetto del ricatto è la stessa possibilità di lavorare. Ledono il diritto a lavorare in sicurezza, disposto innanzitutto dalla Costituzione. E quindi la dignità dei luoghi di lavoro e delle lavoratrici. Per ciò stesso, oltre che per il codice civile, la responsabilità di contrastarle è in primo luogo delle imprese. Ma anche delle organizzazioni sindacali. Insieme, perché comune è l’interesse.

Innanzitutto serve fare il punto sulla dimensione del fenomeno, sulle sue cause e di conseguenza sulle scelte per contrastarlo. L’Istat ci dice che il 9% delle donne che lavorano le ha subite. Che l’80% non ne ha mai parlato con nessuno. Che solo lo 0,7% le ha denunciate. Per sottovalutazione o, soprattutto, per paura di ritorsioni. O per rimozione e vergogna. Sono dati incompleti, ci dice l’Istat, per il rifiuto di molte persone ad aderire all’indagine statistica. Che fa il paio con la realtà che emerge dalle risposte di chi ha collaborato alla rilevazione. Quindi sappiamo che le molestie sessuali hanno una dimensione molto larga e sommersa. E anche che esiste una nuova frontiera, tutta da sondare, delle molestie e delle aggressioni sessuali nella prestazione lavorativa on line.

In secondo luogo le molestie e i ricatti sessuali affondano le loro radici nei codici culturali del modello patriarcale, tutt’altro che superato. Hanno ragioni sociali ed economiche. Sono alimentare dallo squilibrio di potere tra chi subisce le molestie e chi le esercita, tra complicità e tacito consenso sociale di chi le derubrica a costume nazionale latino. La scuola è dunque il luogo principe in cui costruire l’educazione al rispetto tra le persone che taglia quelle radici. In terzo luogo se la causa principale è lo squilibrio di potere, il modo per contrastarle è quello di riempire quello squilibrio. Così da rafforzare chi subisce le molestie, con norme di legge e contrattazione. Per prevenirle. Per aiutare a farle emergere.

Se poi intorno alle molestie nell’ambiente di lavoro esiste consenso sociale tacito, allora è il fronte comune tra le organizzazioni sindacali e le imprese che serve per prosciugare quell’acqua. È esattamente questa la direzione presa dalla legislazione italiana nel 2017, quando la legge di bilancio ha modificato il Codice di pari opportunità del 2006 inserendovi 2 novità importanti: la nullità dei provvedimenti di licenziamento, trasferimento, demansionamento nei confronti delle lavoratrici che denunciano le molestie subite. Poco tempo fa proprio in virtù di questa norma è stata annullato il trasferimento di una lavoratrice di una impresa di pulizie di Torino che aveva denunciato le molestie subite. E il recepimento dell’accordo Cgil, Cisl, Uil, Confindustria del 2016 che traduceva in italiano, dopo 9 anni, l’accordo europeo del 2007. Un accordo molto importante per due ragioni. Perché assume l’eliminazione delle molestie sessuali nei luoghi del lavoro come interesse per il successo delle imprese. E definisce la necessità di prevenirle con azioni congiunte .

Nella legge di bilancio del 2017 è stata cioè traslata una parte della proposta di legge contro le molestie sessuali, di cui ero prima firmataria. La legge era più completa e organica e riconosceva il ruolo importante delle consigliere di parità, dei Cug nella pubblica amministrazione, dell’ispettorato del lavoro nell’accompagnare le imprese nella prevenzione delle molestie sessuali. Attraverso la formazione e il monitoraggio continuo. Gli ostacoli politici alla approvazione di una legge contro le molestie sessualità nei luoghi di lavoro sono stati molto forti negli anni. Lo furono anche nella scorsa legislatura e solo il clamore del #MeToo riuscì a far introdurre quelle norme attraverso la legge di bilancio.

Ostacoli politici, ma anche da parte delle imprese, da sempre più favorevoli ad accordi tra la parti piuttosto che a nuove leggi. In realtà ciò che serve è una legislazione di sostegno alla contrattazione tra le parti, che è appunto la strada seguita. All’inizio di questa legislatura la proposta di legge è stata ripresentata dalla senatrice Valeria Fedeli e sarebbe straordinariamente importante che la sua approvazione accompagnasse la ratifica della Convenzione Oil, diversamente monca delle misure attuative necessarie . Ma per centrare l’obiettivo, difficile in sé e ai margini dell’attenzione, bisognare far emergere pubblicamente il tema in tutta la sua complessità. E pericolosità. Soprattutto in un tempo in cui l’occupazione femminile è a rischio e riaffiorano le dimissioni in bianco. L’ha fatto qualche giorno fa l’associazione Volare organizzando un confronto sull’argomento tra giuristi, organizzazioni sindacali e imprese. Che sarà trascritto in un instant book con l’obiettivo di allargare la riflessione e suscitare quella partecipazione pubblica necessaria.

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