Smart working, un’occasione per ridisegnare la vita delle città
di Titti Di Salvo, pubblicato su Il Dubbio il 2 febbraio 2021
Christine Lagarde qualche giorno fa ha prospettato per l’Europa un futuro nel quale il 20 per cento del lavoro sarà svolto da remoto. Anche questa previsione, confermata al rialzo dalle stime nazionali dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, aiuta a capire la portata del cambiamento in corso.
Certo ciò che abbiamo visto in questi mesi assomiglia più al telelavoro, ma è sufficiente per valutarne l’impatto, per apprezzarne i vantaggi e leggere i limiti. Che dal punto di vista delle lavoratrici, dei lavoratori e dell’impresa andranno affrontati con la contrattazione aziendale e con una legge di sostegno. Analogamente, dal punto di vista dell’impatto sull’organizzazione sociale e produttiva delle città e sulla loro fisionomia, vantaggi e limiti dovranno essere affrontati, risolti e indirizzati con un patto per lo sviluppo locale tra le istituzioni, le imprese, il mondo del lavoro e del commercio. Guidato dalla visione del futuro cui ispirare le politiche pubbliche di contesto: urbanistiche, di utilizzo di spazi pubblici e privati per coworking, infrastrutturali, industriali, di decoro urbano, di rigenerazione urbana appunto. Con il sostegno delle politiche nazionali di digitalizzazione del paese e delle risorse del Recovery Plan. Sappiamo dall’Osservatorio Politecnico di Milano, che un giorno alla settimana in Smart Working per la riduzione dei flussi di mobilità determina 137 kg in meno di Co2 all’anno, 40 ore medie risparmiate per raggiungere il posto di lavoro, 13,7 miliardi di benefici complessivi per il Paese.
Come contraltare abbiamo visto in questi mesi svuotarsi il centro delle città. Soprattutto delle città d’arte in cui all’assenza dei flussi turistici si è sommata l’assenza del flusso delle lavoratrici e dei lavoratori. Con impatto molto negativo sul fatturato, e quindi sull’occupazione, delle imprese della ristorazione, del commercio, della moda, della logistica, dell’ospitalità. Lo studio recentissimo di Banca d’Italia sul rapporto tra Smart working e mercato immobiliare documenta anche il cambiamento in questi mesi della domanda residenziale, sia dal punto di vista della struttura delle abitazioni che della loro ubicazione. Fuori dalle grandi città e fuori dal centro. Cambia cioè il verso dell’urbanizzazione. Non più dalle periferie al centro. Non a caso nel rapporto si dice che con il lavoro agile si assiste alla rivincita delle campagne sulle città, delle periferie sui grandi centri. Aggiungo anche del Sud rispetto al Nord perché ad oggi, secondo dati Svimez, sono state più di 100.000 le persone, per lo più sotto i 40 anni e con laurea, tornate al Sud e determinate a rimanerci in virtù della possibilità consentita dallo Smart working.
Per tutto ciò è evidente l’interesse e la necessità della politica di accompagnare nella transizione verso il cambiamento le persone e le imprese. In modo da risolvere i problemi, valorizzare i vantaggi e fare in modo che lo svuotamento dei centri urbani non corrisponda alla loro desertificazione ma ad un diverso modello di città’ in cui vivere meglio.
“La città dei 15 minuti”, è la proposta dalla sindaca di Parigi, Anne Hidalgo: la possibilità cioè per tutti di raggiungere in quindici minuti di distanza, a piedi o in bicicletta, i servizi necessari per mangiare, divertirsi e lavorare. Una visione suggestiva e visionaria che interpreta la necessità contemporanea di orientare diversamente lo sviluppo urbano. Il cambiamento in corso riguarda tutte le città italiane. E riguarda particolarmente Roma perché se non tutti i lavori possono essere svolti da remoto, a Roma si concentrano moltissime attività che possono essere svolte in Smart working. Secondo Unindustria di Roma il lavoro da remoto coinvolgerà il 40 per cento delle persone occupate nella Capitale. Lo Smart Working dunque, per l’insieme dei suoi effetti, per il suo carattere di cambiamento stabile, per la dimensione delle persone coinvolte a Roma, può essere l’occasione per ridisegnare in senso equilibrato la Capitale, diseguale prima del Covid e ancora di più dopo: nei livelli di istruzione, di occupazione, di reddito molto differenziati a livello territoriale. Per farlo è appunto necessario, più che mai a Roma, un patto tra la Pubblica amministrazione, il mondo del lavoro, dell’impresa e del commercio, le università finalizzato all’innovazione. Che è stata ed è nella vocazione della Capitale, di cui il cambiamento del lavoro è motore e occasione. È questa la vera sfida politica delle prossime elezioni amministrative di primavera. Dopo anni di incuria, mortificazione e declino.